
Il problema strutturale degli assegni pensionistici in Italia (www.maratonainternazionalediroma.it)
Il sistema pensionistico si trova oggi di fronte a una sfida cruciale, che va oltre le tradizionali discussioni sull’età di pensionamento.
Secondo l’ultimo Osservatorio statistico INPS aggiornato al 2 aprile 2025, l’importo medio lordo mensile delle pensioni si attesta a circa 1.229 euro. Tuttavia, la situazione appare molto più critica se si considera la differenza di genere: gli uomini percepiscono una media di 1.486 euro, mentre le donne si fermano poco sopra i 1.000 euro (1.011 euro). Questi dati, calcolati sui singoli assegni e non sull’intero reddito pensionistico, evidenziano un problema di fondo: la scarsa adeguatezza economica dell’assegno pensionistico, soprattutto in un contesto di progressivo passaggio al sistema contributivo puro.
L’introduzione del sistema contributivo, avvenuta con la riforma Dini del 1995 e consolidata dalla riforma Fornero, ha legato strettamente l’importo della pensione ai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa, che a loro volta dipendono dall’ammontare delle retribuzioni percepite. In un mercato del lavoro italiano caratterizzato da precarietà, bassi salari e lavoro nero in alcuni settori, questo meccanismo rischia di generare assegni pensionistici troppo bassi per vivere dignitosamente.
Le proiezioni dell’ISTAT indicano un ulteriore peggioramento dello scenario: entro il 2050, il numero di pensionati supererà i 20 milioni mentre gli occupati saranno poco più di 26 milioni, un rapporto che metterà a dura prova la sostenibilità del sistema a ripartizione. Inoltre, per coloro che rientrano interamente nel sistema contributivo – ossia che non hanno versato contributi prima del 31 dicembre 1995 – non è prevista alcuna integrazione al trattamento minimo, aggravando ulteriormente la situazione di chi si ritrova con assegni inferiori a 1.000 euro.
Lavorare dopo la pensione: una necessità sempre più diffusa
Di fronte a questi dati, molti pensionati si troveranno davanti a un bivio: o rivedere drasticamente le proprie spese o tornare a lavorare per integrare il reddito. La normativa attuale prevede infatti che, tranne alcune eccezioni come la Quota 103, i redditi da pensione siano cumulabili con quelli da lavoro. Ciò significa che un pensionato può percepire l’assegno e contemporaneamente riprendere un’attività lavorativa, con la possibilità di versare nuovi contributi utili per aumentare la pensione futura.
Questo fenomeno, tuttavia, pone problemi di natura sociale ed economica. La presenza di milioni di pensionati che rientrano nel mercato del lavoro può comprimere ulteriormente i salari e ridurre le opportunità di impiego per i giovani, creando un circolo vizioso che frena il ricambio generazionale, elemento fondamentale per la vitalità del mercato del lavoro italiano.
Le riforme pensionistiche degli ultimi vent’anni si sono concentrate principalmente sull’innalzamento dell’età pensionabile, trascurando l’adeguatezza economica degli assegni, lasciando aperto il rischio di aumento della povertà tra gli anziani. Anche la Commissione Europea ha lanciato un avvertimento chiaro: senza correttivi, il sistema contributivo italiano rischia di produrre pensioni troppo basse per garantire una vecchiaia dignitosa.

Un ulteriore problema riguarda le risorse finanziarie disponibili. Il bilancio dello Stato è gravato da una spesa pensionistica che nel 2025 ha superato i 250 miliardi di euro, e in un contesto di finanze pubbliche tese, non ci sono margini per interventi significativi di revisione del sistema di calcolo contributivo. Lo stesso Mario Draghi, durante il suo mandato come Presidente del Consiglio, ha ribadito che dal sistema contributivo “non si torna indietro”.
L’unica possibilità di integrazione del reddito pensionistico è rappresentata dalla previdenza complementare, che però coinvolge oggi solo circa un terzo dei lavoratori. Chi avrebbe più bisogno di integrare il proprio assegno spesso non ha la possibilità economica per farlo, esponendosi così al rischio di difficoltà economiche nella terza età.
Nel frattempo, per chi possiede i requisiti, resta valida la formula di Quota 103, prorogata fino al 2025, che consente il pensionamento anticipato al raggiungimento di almeno 62 anni di età e 41 anni di contribuzione. Tuttavia, questa misura prevede un calcolo interamente contributivo e un tetto massimo all’importo della pensione, nonché la quasi totale incumulabilità con redditi da lavoro fino al compimento dei 67 anni, fatta eccezione per il lavoro autonomo occasionale entro 5.000 euro annui.